L'immagine sbiadita di una città sbiadita dove, malgrado tutto, c'è ancora chi lotta per essere un'anima viva.

mercoledì 29 aprile 2009

Vi ho visto oggi. Grazie alla diretta web vi ho visto. L’ho fatto da Bologna, dove facevo tappa per lavoro. L’avrei fatto da qualunque posto al mondo e non ci avrei rinucniato per nessun contratto.
Vi ho visto, benedetti, ingenui ragazzi, che pensate di potere cambiare Messina. Vi ho visto e vi ho odiato. Perché Caporale andava intervistato da voi, sollecitato da voi, incalzato da voi. Dovevate voi metterlo sotto torchio. Voi dovevate dirgli “senti, giornalista di Repubblica, tu che giri l’Italia portando il santino di Berlusconi appresso per avere un dio da odiare, tu che pensi di avere la patente in tasca di onesto perché soldato di Ezio Mauro, pensi che l’Università di Roma funzioni con logiche diverse da quelle di Messina? Noi che non siamo figli di nessuno, famosa firma di Repubblica, ti sei chiesto con quali sacrifici portiamo avanti le nostre idee in una città che tu, il tuo collega Stella e i tuoi amici di Ballarò indicano sempre come una città di merda, dove niente è possibile, dove niente è buono? Ti sei chiesto, scienziato del giornalismo che cova una tesi e gira l’Italia a caccia di prove per dimostrarla, ti sei chiesto mentre dichiaravi con soave innocenza che quando non condividi le idee del giornale ti astieni, quanto noi paghiamo per non astenerci? Qual è il prezzo di essere qui senza uno straccio di politico a difenderci? Perché lo sai, caro Caporale, qual è il problema? E’ che viviamo in un Paese senza coscienza, non in una città senza memoria. E che la politica è la destra che non ci ha dato una sala e la sinistra che al Guernica non è venuta”. Questo gli avrei detto.
E invece, benedetti, ingenui ragazzi, avete lasciato il microfono in mano ai pendolari, dello Stretto e della politica. Quello che viaggia tra le sponde di Sicilia e Calabria e l’altro che viaggia tra AN, Pdl e Gruppo misto perché sarà pure una brava persona ma ha l’ambizione politica che gli brucia dentro e arde più della sete di giustizia. Trischitta è della stessa carne di Caporale. Di diverso hanno solo il livello culturale col quale portano avanti le loro battaglie. Trischitta si lascia scoprire subito, Caporale piano piano.
Avrei chiesto a Caporale un impegno, quello di scrivere sul quotidiano delle tesi precostitute ma se non sei d’accordo ti astieni (come nel fascismo quello vero), di raccontare di chi a Messina combatte perché vuole una città migliore. Perché è vero, Buzzanca governa, ma in città c’è Ivan Tornesi, che non si da pace, che si alza la mattina e va a dormire solo di notte perché non si rassegna a vivere in una citta che lo ignora, ignora le sue idee pulite,la sua voglia di stare bene in una città dove anche gli altri stanno meglio.
Perché Messina è la città di Tomasello ma anche di Antonclaudio, che presenta se stesso più che l’evento, ma che legittimamente urla, fisicamente, con la sua stoata emozione, la sua inefficace polemica, la possibilità di avere una visibilità. Per la sua faccia e per le sue idee. O quel ragazzo di cui non conosco il nome perché lo avete fatto parlare con la sordina, che ha vomitato acido quando ha detto a un avvocato che non lo sa che in questo Paese nessuno può dirsi fascista senza commettere un reato, che nessuno è per sempre, che non è possibile avere amministratori della città quelli che da 15 anni la stuprano con la stessa volgarità, arroganza, violenza, schifo, con cui si stupra una donna. Trischitta, il difensore di Buzzanca decaduto. Che però almeno ha avuto il coraggio di presentarsi e provocare. Gli altri dov’erano? Liliana Modica e Saro Visicaro, i due che si sono inventati la protesta anti tir e non si sono più parlati perché ognuno rivendicava di essere mamma e papà insieme, tutto uno; non poteva solo essere lei la mamma e lui il papà. Buzzanca dov’era? A Palermo dov’è assessore regionale, a Palazzo Zanca dov’è sindaco, al partito dov’è il capo? E Saitta? A fare strategie per la presa della bastiglia? Ad accendere incensi per suo nonno? Capisco Genovese, a contare i suoi soldi, ma i “no Ponte” e “no Tir”, dov’erano? Dove erano i parlamentari, nazionali e regionali, Spanò e la Bottari, Ballistreri e Fortunato Romano, i Pippi Rao di ogni partito, i 6000 candidati delle ultime elezioni comunali?
Benedetti, ingenui ragazzi, ha ragione quel giovane di cui non conosco il nome. Lasciate perdere Trischitta e Caporale.
Non vi lasciate sopraffare dal bisogno materiale e dal potere. Fin quando potete.
Mandate al davolo questi che hanno in tasca la verità, di destra e di sinistra.
Quelli che leggono solo il Giornale o e quelli che cercano il verbo su Repubblica.
Non cercate Che Guevara a tutti i costi. Il 1967 è lontano, troppo lontano. Non citate Pasolini a ogni costo e non guardate alle verità patrimonio del già detto. Cercate parole nuove, andate avanti. Ricercate la contraddizone e il giusto dentro di voi, anche contraddicendovi. Non è reato contraddirsi, finchè si è vivi, se si è onesti. Non avete un giornale che vi rappresenta? Fatene uno fotocopiando gli articoli e passandoli di mano in mano. Non avete una Tv? Dai, c’è youtube, c’è questo blog, c’è la vostra fantasia perddio.
Ha ragione quel benedetto, ingenuo ragazzo, che ha detto: abbiamo preso 1000 voti, non abbiamo saputo raggiungere la gente, le persone che votano. Ha ragione lui quando dice che dovete riunirvi e fare diventare le vostre idee, la vostra azione, dovete fare diventare la vostra speranza azione politica.
Benedetto, ingenuo, ragazzo, candidati. Se non ti perdi nelle traverse del signorsì, dell’ideologia che non governa, del “ma anche” e “si però”. Se non perdi la capacità di indignarti, di dire no. Se non perdi la tua violenza fatta solo di gesti monelli, di timidezza da nascondere dietro una grattata di capelli, allora, benedetto, ingenuo ragazzo, io sarò il tuo voto 1001.

martedì 28 aprile 2009

Dedicata ai politici assenti oggi al dibattito

"Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto"

Racconterò Messina...

L'ora è tarda e la giornata è iniziata presto. Da Roma sono arrivata a Messina. Ho viaggiato in macchina col giornalista di Repubblica, Antonello Caporale. Superata Napoli ci siamo sentiti nel Sud d'Italia. Ci siamo sentiti "dalle nostre parti". Abbiamo riso. Sapevamo che da quel punto in poi dovevamo iniziare a contare i chilometri. I chilometri da percorrere su un'autostrada a corsia unica. Saranno stati cento, forse di più. Cantieri aperti e strada chiusa anche dove sembrava fossero finiti i lavori. Poi un arancino sulla nave e tre quarti d'ora di ritardo. La libreria Mondadori aveva già accolto tutte le persone giunte lì per ascoltare e parlare con chi ha definito Messina una cloaca. Un incontro piacevole che ha preso spunto da "Mediocri", il libro scritto da Antonello Caporale. Libro che può servire da esame di coscienza a una città che non ha memoria. E chi non ha memoria non ha futuro. E se non ci sarà futuro saremo condannati ad essere dei mediocri. Per sempre.
Sulle giacche di una decina di persone c'era un cartello: "E adesso denunciateci tutti". Forse per far sentire meno solo il giornalista querelato dal Comune di Messina.
Dieci giorni fa mi è stato affidato un compito di grande responsabilità. Antonello Caporale ha letto le pagine di questo blog. Mi ha chiesto di incontrarci e mi ha proposto di raccontare Messina. Scriverò alcune pagine per il suo libro che uscirà a ottobre. Attraverso le storie e i fatti proverò a raccontare il suicidio di una città e la morte della speranza. Dirò che Messina è bella. Saranno i luoghi e il panorama a dimostrare questo ma dirò anche che è bella quanto trascurata.
Adesso vado a dormire. Domani mattina la sveglia suonerà presto. Al posto di andare a mangiare una granita, Antonello Caporale vuole andare a visitare chi abita nelle baracche. Alle10 ci sarà il grande dibattito al Guernica. Sono tanti gli interventi in programma. L'obiettivo: stilare un documento da presentare all'Amministrazione. Con la speranza che il Sindaco riceva almeno noi cittadini.

venerdì 24 aprile 2009

Regione Sicilia: 100 poltrone alla vigilia delle europee

Il Presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, assegnerà cento poltrone all’interno dei consigli d’amministrazione degli Istituti autonomi case popolari. In Sicilia gli Iacp sono dieci e hanno un costo che può superare i due milioni l’anno.

Questa volta contro quello che si prospetta come un nuovo caso di sprecoli c’è un’iniziativa dei parlamentari regionali di centrodestra. Così l’asse PDL – MPA, che non gode ultimamente di un ottimo stato di salute, sembra ulteriormente sfaldarsi. Nel mese di agosto erano stati i forzisti Castiglione e Firrarello a protestare contro il Governatore quando non riconfermò Enzo Giibino alla presidenza dell’Istituto di Catania. Adesso a ribellarsi sono i deputati del Pdl vicini all’ex corrente di AN Briguglio – Stancanelli.

“Chiediamo di varare al più presto la riforma degli Iacp” affermano i deputati regionali Marco Falcone e Pippo Correnti. La norma attuale prevede che tutti i Cda siano formati da dieci componenti, tre dei quali nominati dai presidenti delle rispettive province, a cui spetta indicare pure la guida dell’ente. Le altre nomine spettano agli assessori regionali ai Lavori Pubblici e Lavoro, agli ordini professionali, all’associazione inquilini e tre ai sindacati. La giunta regionale adotta infine la deliberazione di nomina. “Nelle altre regioni, da tempo, gli IACP non ci sono più – hanno denunciato i due ex di AN  – perché sono stati trasformati in agenzie, con strutture più snelle ed efficaci, dotati di amministratori unici o di Cda ridotti al massimo a cinque componenti”.

Ma a quanto pare il Governatore della Sicilia non è di questo avviso. Se i deputati del Pdl fanno appello alla politica del risparmio, Lombardo è dell’idea “Abundare quam deficere”. Politica, curiosamente, inaugurata alla vigilia delle Europee.

Sarà una coincidenza, ma proprio quando le liste delle Europee sono state depositate e si va a caccia di voti, Lombardo “mette a concorso” i cento posti nei consigli di amministrazione degli Iacp. Quali sono i requisiti per chi è candidato ad occupare una poltrona da un paio di migliaia di euro al mese? Per chi devono votare e fare votare i nuovi soldati dell’autonomia alle prossime elezioni europee?

giovedì 23 aprile 2009

Il dovere di dibattere contro il silenzio. Di Carmelo Franzò

Osservando le reazioni ogni qualvolta il nome di una città appare sui quotidiani o sulle tv nazionali per uno scandalo che la travolge viene da pensare che una buona parte di cittadini, in tema di scandali interni ai Comuni,  vorrebbe il federalismo giornalistico. Che come quello fiscale ha i suoi vantaggi; ma anche indiscutibili pecche.

Oggi sono i messinesi che partono per la crociata pro o contro Antonello Caporale, lo straniero che si è permesso di farsi i fatti che non sono i suoi. Ma non è il partire il punto, semmai i presupposti di questo andare. Appare evidente a tutti che Messina non è una cloaca, parola utilizzata a sproposito dal giornalista di Repubblica ospite in Tv. Ma dopo due settimane c’è ancora una grande difficoltà a trovare qualcuno che entri nel merito della questione: “Messina è una cloaca”, l’affermazione. Perché c’è stato chi è rimasto sconvolto? Perché Caporale ha detto una tragica bestialità? Perché ha usato una parola sbagliata? O semplicemente perché non si parla così di una città che non è la tua?

Può essere che i messinesi non sopportino chi, con un’affermazione esagerata, ha comunque alzato il tappeto sotto il quale la servitù locale ha nascosto cumuli di spazzatura?

Oppure Messina è una città meravigliosa, dove le baracche non ci sono, le fogne sono tutte interrate?

Il punto di domanda, per una risposta autentica, avrebbe bisogno di un dibattito. Che si farà, stranamente in una libreria e in un circolo di giovani. Non in una sala del Comune o della Provincia, che evidentemente non hanno voluto concedere. E soprattutto si farà col peso di una denuncia per diffamazione presentata dal sindaco Buzzanca e dalla sua amministrazione che non hanno sopportato l’offesa. E la spiegazione preferiscono averla in un’aula di tribunale. Dove ci sarà un giudice, quello con la toga, non il cittadino giudice, l’elettore, il lettore.
Se tra qualche anno, i tempi della giustizia sono quelli che sono, il giudice sentenzierà che Caporale ha torto vorrà dire che Messina non è una cloaca?

Se il giudice sentenzierà che il Comune non aveva motivi per sentirsi diffamato vuol dire che Messina è una cloaca?

Ripeto l’ opinione già espressa: Caporale ha esagerato, ma era animato da buona fede. Intendeva dare un contributo di discussione su un tema assai importante come l’opportunità di realizzare il Ponte. E forse lo ha fatto “mughinizzandosi” per contribuire allo show della Giovannona Coscialunga dell’etere, Ilaria D’Amico, capace di svolazzare tra un campo di calcio e un’inchiesta sui mutui con la leggerezza e la forza di Ibrahimovic.

Lunedì il giornalista sarà alla Mondadori, dove di fronte all’ala radical chic della città venderà qualche copia in più di quanto messo in preventivo del suo “Mediocri”.

Poi parlerà con dei giovani nella sede di un’associazione. Non sarà la Sala delle Bandiere di Palazzo Zanca, ma forse è meglio così. Più informale, coi muri meno impregnati di moralismo a un tanto al chilo. Ci sarà quella stampa che forse per troppi anni è andata col fioretto a intaccare quei problemi che avevano bisogno di colpi di spada? Questo dipende dal federalismo giornalistico. Ognuno in fondo è padrone dell’informazione di casa sua. Può essere che la stampa locale si prenderà cura di approfondire quel dibattito che la politica vorrebbe chiudere. Potrebbe alimentare la polemica, aumentando il conto da pagare. Caporale o Buzzanca? Chi giù dalla torre? Le tv messinesi, il giornale, il settimanale, i siti internet, apriranno la votazione rendendo reality la contesa? Oppure metteranno la sordina, lasceranno ai giovani lo sfogatoio del “Guernica” e dopo 24 ore si torna al silenzio che un “cloaca” urlato in Tv tra qualche anno squarcerà?

Difficile dirlo. La previsione potremmo anche farla, ma verremmo tacciati di qualunquismo. E allora meglio lanciare un appello ai giovani, quelli che si sono iscritti al gruppo di Face e hanno letto questo blog. E meglio ancora lanciarlo a quei ragazzi che l’incontro stanno organizzando: andate avanti, sempre contro, con lo stesso coraggio. Non fermatevi di fronte a chi vi ha già detto o vi dirà nelle prossime ore “ma chi te lo fa fare?”. Non ve lo fa fare nessuno, ed è questa la vostra forza, il simbolo stesso alla vostra libertà. Non vi muovete per uno scopo, come Buzzanca o come lo stesso Caporale potrebbe in fondo fare. Voi vi muovete per capire, per approfondire, per ragionare e per agire. E se i giornalisti locali rivendicano il federalismo dell’informazione dite no grazie. Meglio comunque un’opinione che arriva da lontano e mobilita anche contro un’opinione sbagliata che il silenzio.     

martedì 21 aprile 2009

Vogliamo parlare!

L’incontro col giornalista Antonello Caporale si farà. Perché crediamo ancora che parole e idee possano cambiare il mondo. Perché crediamo che parole e idee siano il primo passo per realizzare qualcosa di grande. Il dibattito non sarà al Comune. È stato detto che il Salone delle Bandiere e l’Aula del Consiglio sono occupate. Non sarà dunque in un luogo istituzione, casa della città,  come sarebbe stato giusto che fosse. Ma poco importa. Il luogo resta una cornice. L’importante sono i contenuti.

L’incontro sarà il 28 aprile alle 10 al Guernica, in Via Castellammare n° 6. Luogo di aggregazione e Centro Servizi della città.

Un po’ per celia un po’ per non morire, diceva Petrolini. Lasciamo stare la celia, perché in ciò che è successo ci trovo poco da giocare. Cerchiamo piuttosto di non morire sotto i colpi di chi rifiuta il dialogo e cerca a sua volta di non morire rifugiandosi strategicamente dietro una querela. Se le istituzioni hanno deciso di nascondersi dietro il silenzio e di dibattere tramite avvocati in un’aula di tribunale, dimostriamo, almeno noi, che il coraggio è una virtù che ai cittadini messinesi non manca.

La decisione presa ieri dalle istituzioni cittadine di querelare il giornalista Caporale, vorrei far notare, non trova il consenso della città. Il Sindaco e la Giunta, che dovrebbero essere i rappresentanti autorevoli di Messina e quindi del volere dei cittadini, dovrebbero leggere i commenti lasciati sul sito d’informazione “Tempostretto”. Dovrebbero collegarsi a facebook, monitorare il gruppo e capire che i cittadini hanno chiesto un confronto. Cosa ben diversa dalla querela. Hanno chiesto una città vivibile. Oltrepassare lo Stretto e trasferire la propria vita in un’altra città, non devono essere un passaggio obbligato. Hanno chiesto posti di lavoro, luoghi di aggregazione, attrazioni turistiche, strade percorribili e non asfalto ad ostacoli. Hanno chiesto di poter spendere con orgoglio un titolo di studi conseguito nell’Università di Messina e vorrebbero spendere questo titolo per la propria città. Hanno chiesto eventi, spettacoli, in una parola cultura. E la cultura nasce anche dal confronto. Dal confronto al quale le Istituzioni si sono sottratte ma che i cittadini non diserteranno.

Dal blog vorrei ringraziare Ivan Tornesi e Antonclaudio Pepe, che da giorni ormai hanno smesso di dormire, per organizzare al meglio il dibattito. Dopo tanto sforzo, invito tutti, non solo a partecipare, questo mi sembra scontato, ma a preparare materiale e interventi. Proposte e possibili soluzioni. Proviamo a stilare un documento da presentare all’Amministrazione della città e poniamo su di esso le nostre firme.

Infine vorrei ringraziare e salutare Carmelo Franzò. Sono sempre più felice che abbia scelto il blog che curo per esporre le sue idee. Idee sempre supportate dal racconto dei fatti che riguardano la nostra città. Sul profilo di facebook ha pubblicato il video Adelante Adelante. Lo ripropongo. Lo dedico, anche a nome suo, a tutti i lettori e sostenitori del blog. 

lunedì 20 aprile 2009

Messina, la strana ricetta per risorgere: più querele, meno dibattiti
Querelare per diffamazione il giornalista Antonello Caporale non è sbagliato; è inutile.
Caporale, in un impeto di foga, in un eccesso di quelli nei quali spesso gli ospiti di trasmissioni tv sembrano essere posseduti dallo spirito di Mughini, ha definito Messina e Reggio due cloache.
Ha sbagliato, certamente. E ha chiesto scusa.
Il giornalista non solo ha chiesto scusa invadendo di mail e di interventi ogni sito, blog, facebook e ogni diavoleria del web. Ha fatto di più: ha chiesto ospitalità a Messina per chiedere scusa e per parlare coi messinesi, per chiarire, per chiarirsi le idee.
Per questo Caporale non merita elogi: primo perché ha sbagliato e chi sbaglia e chiede scusa rimedia solo a un errore con un atteggiamento serio. Secondo perché giornalisticamente saprà capitalizzare tutto il polverone, o i rivoli di fogna, sollevati dal caso.
Perché inutile la querela? Anche questo per due motivi: il primo è un motivo di opportunità, come dire, “giuridica”: il Comune in Tribunale non vincerà. Le scuse sono state tempestive, motivate. I giornalisti questo tipo di cause non le perdono mai. Il secondo motivo è molto più complesso, e sta nell’opportunità politica.
Buzzanca avrebbe potuto cavalcare la tigre dell’offesa per capitalizzare un’onda montata e che rischia invece di ritrovarsi contro. Avrebbe potuto cogliere l’occasione per diventare protagonista del momento di dibattito sulla realizzazione del Ponte, poteva accampare finanziamenti per una città che non è pronta ad aprire cantieri, che è allo stremo di ogni tipo di forza, al collasso finanziario quasi quanto lo erano Catania e Roma. I messinesi avrebbero certo apprezzato un sindaco che si confronta, senza paura, con una delle prime firme del giornalismo. E l’Italia avrebbe potuto conoscere meglio Messina di quanto l’infelice Caporale abbia rappresentato su Exit. E invece no. Buzzanca, al confronto, ha preferito la denuncia. Che è come nascondersi, non accettare la dialettica, alla base credo di ogni buona politica.
E non pensiate che quanto scrivo Buzzanca non lo abbia pensato. Lo ha pensato, calcolato, ponderato. E alla fine ha scelto di non confrontarsi. Per la stessa ragione per la quale in ogni circostanza sceglie la strada della simpatia tattica in luogo della puntualità dei fatti.
Messina non è una cloaca, sia chiaro anche al dott. Caporale.
Messina è più semplicemente e più drammaticamente una città distrutta dall’immobilismo, con in corpo la cancrena di problemi irrisolti, umiliata dalla politica fanfarona delle promesse mai realizzate, messa in fermo dalla assoluta mancanza di un progetto di sviluppo.
Chi è il principale responsabile di questo disastro? Non certo Caporale.
Attenzione, Buzzanca non è il solo. Ma certamente più colpevole di tanti altri.
La decadenza di Messina comincia prima, ma dello sfascio Buzzanca è la rappresentazione dell’ultimo quindicennio.
L’immobilismo comincia con la decadenza di Buzzanca sindaco. I problemi irrisolti basta andarli a prenderli nei programmi elettorali di Buzzanca, quelli di quando per la prima volta si candidò alla presidenza della provincia. Della politica chiacchierona (porticcioli turistici mai realizzati, i concorsi alla Provincia e fino ad arrivare alla mancata iscrizione del Messina calcio in serie C dopo il fallimento Franza) Buzzanca è interprete. Quando decadde da sindaco per un procedimento penale che era in corso prima della sua candidatura, e quindi preventivabile, possibile, Buzzanca non chiese scusa. E si capisce che Buzzanca non vuole cogliere alcuna opportunità per mettersi la fascia tricolore ed essere protagonista nel progetto di realizzazione del Ponte. Tanto è che quando in Consiglio Comunale, al termine di un iter discutibile, fu Buzzanca che impedì all’organismo democraticamente eletto, rappresentativo di tutte le anime della città, di discutere, ritirando la delibera.
Più che Buzzanca è per questo che stupisce l’atteggiamento del Consiglio Comunale e di certa Messina bacchettona che, piuttosto che cogliere l’opportunità di avere una vetrina diversa da quella offerta dai monologhi di Gian Antonio Stella (messinesi, vi siete sentiti meno offesi dalla ventina di articoli che Stella ha pubblicato sul Corriere della Sera dipingendo Messina non come una cloaca ma come la città dove gli interessi illeciti intrecciano ogni palazzo del potere?), poteva nella Sala delle Bandiere, a Palazzo Zanca, lì dove nacque l’Europa, confrontarsi, dibattere in modo serio e ripartire con qualche idea più chiara.
Messina non è un cloaca, ma con una denuncia in più e una discussione seria e costruttiva in meno, ha più possibilità di rimanere una palude che non di risorgere.

sabato 18 aprile 2009

Caporale e il Ponte? L'ultima polemica su 40 anni di nulla
di Carmelo Franzò

Cara Gabriella,
la ringrazio per avere voluto inserire il mio nome tra i collaboratori, e spiego subito che la simpatia per il suo blog mi è sorta per la nota introduttiva, che trovo piena di giovani entusiasmi e di sincero impegno.
Però è meglio, vista la sola conoscenza virtuale, chiarire subito che da bambino mia madre mi chiamava “bastian contrario” . Secondo lei avrei dovuto intraprendere la professione di avvocato o di giornalista per capitalizzare tale talento polemico.
In verita ho finito con il sopire in favore di più oscuri mestieri.
Rubo centimetri al suo blog, visto il perdurare della mia insonnia procurato non certo dalla notizia odierna sulla nuova data, 2010, per la presentazione del progetto esecutivo e dalle polemiche sull’infelice espressione del bravo Antonello Caporale, per dire la mia sulla questione Ponte, non prima di avere premesso di avere studiato negli anni con attenzione i vari progetti di Ponte.
La mia opinione è che il Ponte sullo Stretto non verrà mai realizzato, e questo rende il dibattito per me ancora più aperto e divertente.
Partendo da questa convinzione è chiaro che mi appare ridicola la polemica innescata sull’infelice frase del giornalista del quotidiano “La Repubblica”. Perché, su due cloache o sue due meraviglie, Caporale parlava di un Ponte che non ci sarà.
E’ per questo che innazitutto guardo con tenerezza i convinti assertori del “No Ponte”.
Ed è qui che forse lei mi troverà sconveniente.
A chi ha la pazienza di leggermi voglio dire: a Messina c’è stato nel tempo un comitato che con, l’avallo di certa politica romana, ha trattato la prospettiva del Ponte, non certo la sua realizzazione, come un vero e proprio affare. Un’operazione fatta in malafede da grandi strateghi, ma che col tempo ha trovato anche sinceri sostenitori.
Al pari dei strateghi mascalzoni della progettazione, si è sviluppata la malafede della fazione opposta, quella che dice no alla realizzazione del Ponte. Anche da questa parte, ai tornacontisti del “no” si sono uniti uomini pronti a combattere una battaglia ideale di grande intensità.
Credo che queste due opposte fazione, in questi 40 anni, siano stati due centri di potere che hanno continuato a esistere grazie alla permanenza in vita del nemico.
Paradossalmente, senza i “no al Ponte” il progetto sarebbe in fase ancora più arretrata.
A dimostrazione della finta contesa posso esibire a richiesta (occuperebbe molto spazio del blog e per me molto tempo per la sintesi, ma se me lo chiederà lo scriverò volentieri) una vasta messe di documenti che testimoniano come nell’ultimo quarantennio, i favoreli e i contrari si siano sempre sfidati con duelli all’ulitmo sangue, ma stranamente mutando il fondamento delle tesi. Con l’unica costante dei possibili terremoti e del pericolo determinato dalle possibili infiltrazioni mafiose nei cantieri, le fazioni si sono sempre divise con tesi e posizioni anche scientifiche su tutto: dal “ponte flottante” a quello “galleggiante”, dalla “campata unica” al “ponte a doppia campata”, dalla questione dei venti, a quello delle correnti, dei terremoti, delle rotte di navigazione, dei meteriali, insomma dall’alba del sogno di un’opera monumentale che celebri la grandezza dell’uomo ad oggi, ho sempre avuto l’impressione che la divisione tra chi vuole il Ponte e chi non lo vuole porti qualcosa, un vantaggio, a chi conduce le battaglie. Questo per la verità fino all’avvento dei sondaggi nella politica italiana. Da lì in poi i mestieranti del consenso hanno agito in modo diverso. Basti pensare all’equilibrismo del centrodestra locale di dieci anni fa rispetto alla ferma convinzione del presidente Berlusconi o alle posizioni del centrosinistra, rappresentate sul piano locale dall’avvocato Saitta, che prima disse “ni”; poi per una chiara opportunità politica si schierò alla testa dei cortei. Anche se l’unico capace di rendersi veramente ridicolo fu il candidato premier, onorevole Rutelli, già autorevole esponente dei “Verdi”, del partito ambientalista, che nel 2001 a Messina in uno slancio di populismo senza precedenti, per scavalacare nei dati di Mannheimer il candidato Berlusconi, annunciò perfino la data d’inaugurazione del Ponte. Detto che secondo il calendario di Rutelli il Ponte verrebbe inaugurato tra qualche mese, la vicenda a questo punto dovrebbe essere utile per due ragioni: la prima, certamente seppellire in una risata i politicanti. E se Berlusconi, pur senza mai realizzarlo, fin dalla sua famosa discesa in campo parlò del Ponte, appare decisamente più ridicola la posizione della fazione politica opposta, con D’Alema, Fassino, Finocchiaro, Folena e altri che negli anni hanno balbettato i si e i no al Ponte senza neppure spiegare il perché del cambiamento d’idea. La seconda, mi rendo conto più poetica che pratica, è la misura della capacità di sognare un futuro diverso. Perché personalmente, io che detesto il progresso inutile di cui il Ponte potrebbe fare certamente parte, se potessero realizzarlo nella certezza dei tempi e con un altrettanto certo vantaggio economico per il terriotitorio, non ci troverei proprio nulla di male nella sua realizzazione. Anzi, sarebbe per la generazione che lo tira su una grande sfida col futuro, la capacità di uomini e donne di realizzare un’opera che tutti pensano impossibile da costruire.
I film d’avventura ci piacciono, ma non quelli in cui siamo noi a dovere affrontare le sfide avvincenti. Strano l’uomo vero?
Perché se il no al Ponte è per salvare i laghi, le cozze, le spiagge avvilite da sporcizia e incuria, la disoccupazione, allora si al Ponte.
Io dico “No al Ponte” se il si serve solo per arricchire progettisti e imprese che hanno fatto più soldi in tribunale in finti contenziosi contro lo Stato che non per l’effettiva realizzazione di opere.
Io dico “Si al Ponte” se c’è una possibilità reale di realizzarlo in tempi certi, con un vero vantaggio per l’Europa, per l’Italia, per Messina e soprattutto per i suoi abitanti.
Lo scontro ideologico, nella storia, lo ha vinto chi poteva permetterselo da un punto di vista economico. Non mi pare Messina nelle condizioni di potere rimanere ancora a lungo assediata dall’assoluta mancanza di un’idea di sviluppo.
E non è buona neppure la spiegazione del dottor Caporale, e spesso del giornale nel quale opera, ormai organo ufficiale di un partito della sinistra tutto nuovo fondato dal direttore-segretario Ezio Mauro, che per giustificare il “No al Ponte” scrive, o per interposta trasmissione Tv dice usando a volte espressioni infelici, che non è possibile realizzare il Ponte per collegare due miserie. Perché non c’è teoria economica che possa confutare la speranza che grazie al Ponte, insieme al Ponte, arrivino interessi reali per realizzare le cose mai fatte: strade, ferrovie, alberghi, turismo.
E quando parlano del pericolo mafioso io penso: puo una Stato bloccare una speranza, un sogno, un’ipotesi di sviluppo perché forse non sufficientemente forte per affrontare la mafia? Ma che Stato è uno Stato che abdica alla mafia? Roba da fare rivoltare nella tomba centinaia di uomini, da Placido Rizzotto a Paolo Borsellino.
Un po’ di sano laicismo, di ragione senza entrare nella setta del “no” o nella chiesa del “si”, non guasterebbe.
E aggiungo un’ultima notazione sull’impatto dell’opera, polemica quanto mia madre riconosceva: a me non preoccupano la tenuta dei pilastri del Ponte, quanto la tenuta dei pilastri della politica locale. Una meraviglia di tali proporzioni, una scultura così inutile e bellissima, è vero che verrebbe realizzata con procedure e controlli dell’Unione Europea e del Governo italiano. Ma una serie di funzioni dovrebbero essere assolte dai governi locali. Che tali adempimenti debbano essere programmati e gestiti da personaggi come Nanni Ricevuto e Peppino Buzzanca, il primo chiamato dai suoi amici “Nanni Bugia” (sia detto solo per sorridere), il secondo decaduto per sentenza tante volte quasi quante le volte in cui è stato eletto, francamente è talmente ridicolo da fare apparire tutto come una grande burla. E, sia detto senza offesa, pur osservando solo per passione, non avevo bisogno del dott. Caporale per sapere che questa è politica cialtrona. Sono però democraticamente eletti. E siccome un sistema migliore per determinare chi deve governare non c’è, non lo hanno pensato neppure i signori del referendum, Guzzetta e Segni, per ora teniamoci stretta questa democrazia. Che almeno per i blog pare funzionare.

venerdì 17 aprile 2009

Antonello Caporale, quando ha accettato l'invito di venire a Messina, ha scritto sul suo blog: "Sarebbe da ridere se ci fossi soltanto io". Sindaco e classe dirigente, non fateci ridere!

Uno schiaffo può servire. Adesso ne siamo certi. Lo sappiamo. Sappiamo che le vite di 368 persone si sono incrociate. E non per strada o in un bar,  ma strano a dirsi, su facebook.  Se il giornalista di Repubblica, quella sera su La7, avesse detto “due città colabrodo, flagellate dalla criminalità organizzata e dalla politica clientelare”, come ha scritto sul libro Mediocri, le 368 persone del gruppo non si sarebbero conosciute. O per meglio dire non avrebbero scoperto di avere in testa e nel cuore la voglia di realizzare un’impresa comune. Adesso dobbiamo incrociare vite e imprese. Cogliamo ciò che di positivo c’è. E ce n’è tanto. C’è che un editorialista di Repubblica ha deciso di venire a Messina per capire. E c’è che noi possiamo spiegare e avanzare le nostre proposte. Il momento dunque è quello giusto. Dallo Stretto soffia il vento a nostro favore.                                                                                                          Chiediamoci cosa vogliamo ottenere. Se la risposta è una città migliore ed onesta con se stessa; se siamo stanchi di andare a votare sempre per il meno peggio; se vogliamo che si parli dei giovani messinesi come ragazzi audaci, la strada è quella giusta e il vento continuerà a soffiare. E’ il nostro banco di prova e dopo tanto parlare andiamo a realizzare e forse abbiamo con noi un alleato inaspettato. Facciamo vedere che siamo veramente un gruppo. Non solo su facebook. Anche se sulla bacheca hanno scritto solo 26 persone su 368 allontaniamoci dalle tastiere e dal click di conferma. Andiamo all’incontro. Facciamo vedere che la comunità di Messina esiste. Che non siamo gente sparsa che convive solo perché è nata a Messina e da Messina non si sposta.

giovedì 16 aprile 2009

Antonello Caporale è una delle migliori firme del giornalismo italiano. Che non vuol dire essere immune da errori. Lo seguo da anni con grande attenzione perché mai è banale. E sempre è informato. E’ un giornalista attento e rigoroso; e arriva dalla Campania, realtà assai difficile. Quasi mai si abbandona a metafore, anzi non gira mai intorno alle questioni. Tira dritto; ed è un gran tirare.
Messina non è una cloaca, ma è una città che ormai ha più problemi che mare intorno.
La definizione usata durante Exit non è reale, credo neppure pertinente. Però in fondo non sorprende che della città che noi messinesi amiamo abbia formulato un giudizio contenuto in un’espressione forte e sgradevole, putrida come i problemi irrisolti, come i cadaveri delle ingiustizie che sono sul selciato delle nostre strade.
Noi messinesi quei cadaveri li vediamo ogni giorno e oggi ci sembra normale siano li. A volte ci passiamo sopra, li arrotiamo sotto le nostre auto. O per non sporcarci li aggiriamo con lo sguardo assuefattamente distratto di chi sa che il cadavere è li e li resta.
Io non mi sono sentito offeso perché credo di avere capito lo spirito dell’affermazione, peraltro correttamente chiarito. Tra i messinesi vedo molta irritazione semmai, perché è come se qualcuno li avesse costretto a puntare lo sguardo su quel cadavere dei problemi irrisolti, li avesse costretti ad allargare le narici e respirarne l’odore.
Da noi si dice “parrari ni pozzu, sentiri non ni vogghiu”.
Siamo così. Abbiamo la presunzione, la convizione di conoscere i problemi che abbiamo. E ne possiamo parlare. Noi. Gli altri no. Quando questi del nord (Caporale, Salerno 1961) parlano male di noi …
Preferiamo parlarci addosso.
Parliamo di quando c’era l’Ospe, di quella volta che Quasimodo, di quando battevamo moneta, di quella volta che il terremoto ci ha fottuto. Siamo capaci, nei discorsi tra noi, perfino di dare i natali a Shekespeare. Però tra di noi al bar parliamo anche che forse i nostri figli sarebbe meglio farli studiare fuori, che abbiamo il mare ma non sappiamo sfruttarlo, che abbiamo le strade tutte buche che neanche in Africa.
Nei nostri cantieri hanno inventato l’Aliscafo, ma quei cantieri sono al centro di una grande speculazione fatta sulla pelle delle maestranze. Alla Smeb, dove riparavano navi di tutto il mondo, gli operai che non si sono ammalati con l’amianto sono stati tutti licenziati. Abbiamo quartieri, Cep, S.Lucia sopra Contesse, Villaggio Aldisio, Santo, Bordonaro, Camaro, Fondo Fucile, Giostra, nei quali o ci nasci o difficilmente andresti liberamente a viverci. Le belle colline sono state violentate dall’edilizia che si è sviluppata con la stessa armoniosità di un cancro e abbiamo realizzato nuovi villaggi da oltre 10.000 abitanti senza aggiungere una strada, un parco. In Italia, abbiamo una tra le più basse percentuali di verde per abitante.
Abbiamo anche il Cnr, che però i progetti che richiedono finanziamenti devono esportarli; abbiamo ricercatori universitari che da noi i concorsi non classificano degni di assegni da 800 euro al mese ma all’estero trovano enormi soddisfazioni.
Siamo sportivi, nei bar parliamo della gloriosa maglia giallorossa (statistiche alla mano il Messina è una squadra di medio-piccolo livello che ha bivaccato più dalla C in giù che guardato in alto), che negli anni abbiamo perso la Coppa Lo Forte e gli Internazionali di Tennis. Non sappiamo più organizzare una regata di vela o canottaggio e celebriamo i campioni messinesi che per affermarsi sono dovuti andare tutti via: Valerio Vermiglio, Silvia Bosurgi eccetera eccetera. Mentre la squadra di serei A di basket estirpata a Barcellona l’abbiamo fatta morire nel breve volgere di una stagione.
E gli uomini di spettacolo? Spiro Scimone, Franco Sframeni, Ninni Bruschetta, Massimo Piparo, Cristian Bisceglia, Walter Manfrè, Maurizio Marchetti, Claudio Catrogiovanni, Annibale Pavone, che grandi successi a Roma, a Milano, perfino in Francia, dopo avere dovuto sgomitare per avere un’ ora di Saletta Laudamo.
Certo che le parole di Antonello Caporale feriscono. La definizione “cloaca” è inopportuna comunque.
Ma proviamo a entrare nel merito della questiore. Perché se la questione è il termine “cloaca”, Caporale ha torto e noi ragione. Se la questione è cosa è oggi Messina allora via, non prendiamoci per il culo. Perché le parole di Caporale sono già vento. Fa molto più male che una classe politica non abbia sentito l’esigenza di reagire a Messina negli anni “verminaio” e “ultima nella classifica del Sole 24 ore”, agli espropri di cantieri e idee, alla fuga dei cervelli, alla fuga dei capitali da investire e degli spazi per i giovani da impiantare. Fa più male pensare che un giorno verranno a dirci che il professore Bottari si è suicidato e che il lento andare verso valle delle Case Gialle è un movimeto voluto perché quella gente avesse una giostra gratis.
Fanno più male i morti all’Annunziata per venti minuti di pioggia che abbiamo chiamato alluvione e fanno male gli occhi delle donne coi mariti a casa perché a 50 anni non è facile trovare un nuovo lavoro.
Fa male che Provincia, Comune, Confindustria, Sindacati, non abbiano trovato uno straccio di idea che riporti speranza.
Un giorno si risveglia l’arcivescovo e ci sentiamo tutti antimassoni.
E poi torniamo tutti in sonno.
Con chi fa affari che torna agli affari suoi, e i messinesi a parlare nei bar.
Oggi tutti offesi dal giornalista, che ha sbagliato i modi d’accordo.
Ma per dirla come Totò, siamo uomini o Caporale?
Se un sussulto c’è ancora la sveglia non suona mai troppo tardi.
Ma è tempo di ripensare Messina.
Con tutti quelli che sono disposti a mettersi in gioco, a incazzarsi per fare le cose e non per le frasi sbagliate dette.
E se fossi stato un giornalista, piuttosto che minacciarlo di denuncia o insulatarlo, avrei invitato Antonello Caporale a un dibattito. Perché la ragione ha bisogno di capire. Sempre. Ostinatamente.

mercoledì 15 aprile 2009

Se uno schiaffo può far bene.

Non sopportiamo che gli altri ci dicano quello che noi pensiamo della nostra città. Quanto detto dal giornalista Antonello Caporale, durante la trasmissione Exit su La7, non mi sembra in contraddizione col sentimento di insoddisfazione che si percepisce a Messina.

Tanti messinesi si sono sentiti feriti nell’orgoglio per la frase “Messina e Reggio sono due cloache”. Tanti altri, specialmente quelli che vivono nelle baracche con i liquami di fogna che fuoriescono dalle loro abitazioni, probabilmente, per pochi minuti, si sono sentiti, al centro dell’attenzione pubblica.

In meno di due giorni un gruppo di facebook ha raccolto quasi trecento iscritti pronti a far valere le loro ragioni contro il giornalista di Repubblica.

Forse dovrebbero offenderci più spesso. Questo penso. Perché quando ci attaccano mostriamo ancora quella forza identitaria che fa di una folla di gente che abita un luogo un “popolo”. Siamo popolo troppo raramente ed è lì che risiede il nostro male.

Forse dovrebbe essere il popolo messinese a urlare di essere stanco. A urlare che non ne può più di essere male amministrato da decenni. Che del ponte sullo stretto non se ne fa niente se ci sono ancora concittadini che vivono nelle baracche. Se ci sono le case costruite senza il rispetto dei decreti antisismici. Solo allora non avremo bisogno degli Antonello Caporale. Ed è per questo che apprezzo gli impavidi che, pochi mesi fa, ospiti dell’ ”Arena di Domenica In”, invitati ad esprimere un loro parere sugli scandali che hanno travolto l’Università di Messina, hanno affermato “e’ una lotta tra baronati e chi ne fa le spese sono solo gli studenti”.

Quindi grazie, caro Antonello Caporale. Io non mi sono sentita offesa e se uno schiaffo serve a svegliare il senso di appartenenza che fa di gente un popolo, e i messinesi lo hanno davvero avvertito, allora da domani altra sarà la capacità critica di queste persone che, in una cloaca o in una città, con un rinnovato orgoglio, potranno coltivare anche nuove ambizioni.