L'immagine sbiadita di una città sbiadita dove, malgrado tutto, c'è ancora chi lotta per essere un'anima viva.

lunedì 20 aprile 2009

Messina, la strana ricetta per risorgere: più querele, meno dibattiti
Querelare per diffamazione il giornalista Antonello Caporale non è sbagliato; è inutile.
Caporale, in un impeto di foga, in un eccesso di quelli nei quali spesso gli ospiti di trasmissioni tv sembrano essere posseduti dallo spirito di Mughini, ha definito Messina e Reggio due cloache.
Ha sbagliato, certamente. E ha chiesto scusa.
Il giornalista non solo ha chiesto scusa invadendo di mail e di interventi ogni sito, blog, facebook e ogni diavoleria del web. Ha fatto di più: ha chiesto ospitalità a Messina per chiedere scusa e per parlare coi messinesi, per chiarire, per chiarirsi le idee.
Per questo Caporale non merita elogi: primo perché ha sbagliato e chi sbaglia e chiede scusa rimedia solo a un errore con un atteggiamento serio. Secondo perché giornalisticamente saprà capitalizzare tutto il polverone, o i rivoli di fogna, sollevati dal caso.
Perché inutile la querela? Anche questo per due motivi: il primo è un motivo di opportunità, come dire, “giuridica”: il Comune in Tribunale non vincerà. Le scuse sono state tempestive, motivate. I giornalisti questo tipo di cause non le perdono mai. Il secondo motivo è molto più complesso, e sta nell’opportunità politica.
Buzzanca avrebbe potuto cavalcare la tigre dell’offesa per capitalizzare un’onda montata e che rischia invece di ritrovarsi contro. Avrebbe potuto cogliere l’occasione per diventare protagonista del momento di dibattito sulla realizzazione del Ponte, poteva accampare finanziamenti per una città che non è pronta ad aprire cantieri, che è allo stremo di ogni tipo di forza, al collasso finanziario quasi quanto lo erano Catania e Roma. I messinesi avrebbero certo apprezzato un sindaco che si confronta, senza paura, con una delle prime firme del giornalismo. E l’Italia avrebbe potuto conoscere meglio Messina di quanto l’infelice Caporale abbia rappresentato su Exit. E invece no. Buzzanca, al confronto, ha preferito la denuncia. Che è come nascondersi, non accettare la dialettica, alla base credo di ogni buona politica.
E non pensiate che quanto scrivo Buzzanca non lo abbia pensato. Lo ha pensato, calcolato, ponderato. E alla fine ha scelto di non confrontarsi. Per la stessa ragione per la quale in ogni circostanza sceglie la strada della simpatia tattica in luogo della puntualità dei fatti.
Messina non è una cloaca, sia chiaro anche al dott. Caporale.
Messina è più semplicemente e più drammaticamente una città distrutta dall’immobilismo, con in corpo la cancrena di problemi irrisolti, umiliata dalla politica fanfarona delle promesse mai realizzate, messa in fermo dalla assoluta mancanza di un progetto di sviluppo.
Chi è il principale responsabile di questo disastro? Non certo Caporale.
Attenzione, Buzzanca non è il solo. Ma certamente più colpevole di tanti altri.
La decadenza di Messina comincia prima, ma dello sfascio Buzzanca è la rappresentazione dell’ultimo quindicennio.
L’immobilismo comincia con la decadenza di Buzzanca sindaco. I problemi irrisolti basta andarli a prenderli nei programmi elettorali di Buzzanca, quelli di quando per la prima volta si candidò alla presidenza della provincia. Della politica chiacchierona (porticcioli turistici mai realizzati, i concorsi alla Provincia e fino ad arrivare alla mancata iscrizione del Messina calcio in serie C dopo il fallimento Franza) Buzzanca è interprete. Quando decadde da sindaco per un procedimento penale che era in corso prima della sua candidatura, e quindi preventivabile, possibile, Buzzanca non chiese scusa. E si capisce che Buzzanca non vuole cogliere alcuna opportunità per mettersi la fascia tricolore ed essere protagonista nel progetto di realizzazione del Ponte. Tanto è che quando in Consiglio Comunale, al termine di un iter discutibile, fu Buzzanca che impedì all’organismo democraticamente eletto, rappresentativo di tutte le anime della città, di discutere, ritirando la delibera.
Più che Buzzanca è per questo che stupisce l’atteggiamento del Consiglio Comunale e di certa Messina bacchettona che, piuttosto che cogliere l’opportunità di avere una vetrina diversa da quella offerta dai monologhi di Gian Antonio Stella (messinesi, vi siete sentiti meno offesi dalla ventina di articoli che Stella ha pubblicato sul Corriere della Sera dipingendo Messina non come una cloaca ma come la città dove gli interessi illeciti intrecciano ogni palazzo del potere?), poteva nella Sala delle Bandiere, a Palazzo Zanca, lì dove nacque l’Europa, confrontarsi, dibattere in modo serio e ripartire con qualche idea più chiara.
Messina non è un cloaca, ma con una denuncia in più e una discussione seria e costruttiva in meno, ha più possibilità di rimanere una palude che non di risorgere.

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