L'immagine sbiadita di una città sbiadita dove, malgrado tutto, c'è ancora chi lotta per essere un'anima viva.

giovedì 16 aprile 2009

Antonello Caporale è una delle migliori firme del giornalismo italiano. Che non vuol dire essere immune da errori. Lo seguo da anni con grande attenzione perché mai è banale. E sempre è informato. E’ un giornalista attento e rigoroso; e arriva dalla Campania, realtà assai difficile. Quasi mai si abbandona a metafore, anzi non gira mai intorno alle questioni. Tira dritto; ed è un gran tirare.
Messina non è una cloaca, ma è una città che ormai ha più problemi che mare intorno.
La definizione usata durante Exit non è reale, credo neppure pertinente. Però in fondo non sorprende che della città che noi messinesi amiamo abbia formulato un giudizio contenuto in un’espressione forte e sgradevole, putrida come i problemi irrisolti, come i cadaveri delle ingiustizie che sono sul selciato delle nostre strade.
Noi messinesi quei cadaveri li vediamo ogni giorno e oggi ci sembra normale siano li. A volte ci passiamo sopra, li arrotiamo sotto le nostre auto. O per non sporcarci li aggiriamo con lo sguardo assuefattamente distratto di chi sa che il cadavere è li e li resta.
Io non mi sono sentito offeso perché credo di avere capito lo spirito dell’affermazione, peraltro correttamente chiarito. Tra i messinesi vedo molta irritazione semmai, perché è come se qualcuno li avesse costretto a puntare lo sguardo su quel cadavere dei problemi irrisolti, li avesse costretti ad allargare le narici e respirarne l’odore.
Da noi si dice “parrari ni pozzu, sentiri non ni vogghiu”.
Siamo così. Abbiamo la presunzione, la convizione di conoscere i problemi che abbiamo. E ne possiamo parlare. Noi. Gli altri no. Quando questi del nord (Caporale, Salerno 1961) parlano male di noi …
Preferiamo parlarci addosso.
Parliamo di quando c’era l’Ospe, di quella volta che Quasimodo, di quando battevamo moneta, di quella volta che il terremoto ci ha fottuto. Siamo capaci, nei discorsi tra noi, perfino di dare i natali a Shekespeare. Però tra di noi al bar parliamo anche che forse i nostri figli sarebbe meglio farli studiare fuori, che abbiamo il mare ma non sappiamo sfruttarlo, che abbiamo le strade tutte buche che neanche in Africa.
Nei nostri cantieri hanno inventato l’Aliscafo, ma quei cantieri sono al centro di una grande speculazione fatta sulla pelle delle maestranze. Alla Smeb, dove riparavano navi di tutto il mondo, gli operai che non si sono ammalati con l’amianto sono stati tutti licenziati. Abbiamo quartieri, Cep, S.Lucia sopra Contesse, Villaggio Aldisio, Santo, Bordonaro, Camaro, Fondo Fucile, Giostra, nei quali o ci nasci o difficilmente andresti liberamente a viverci. Le belle colline sono state violentate dall’edilizia che si è sviluppata con la stessa armoniosità di un cancro e abbiamo realizzato nuovi villaggi da oltre 10.000 abitanti senza aggiungere una strada, un parco. In Italia, abbiamo una tra le più basse percentuali di verde per abitante.
Abbiamo anche il Cnr, che però i progetti che richiedono finanziamenti devono esportarli; abbiamo ricercatori universitari che da noi i concorsi non classificano degni di assegni da 800 euro al mese ma all’estero trovano enormi soddisfazioni.
Siamo sportivi, nei bar parliamo della gloriosa maglia giallorossa (statistiche alla mano il Messina è una squadra di medio-piccolo livello che ha bivaccato più dalla C in giù che guardato in alto), che negli anni abbiamo perso la Coppa Lo Forte e gli Internazionali di Tennis. Non sappiamo più organizzare una regata di vela o canottaggio e celebriamo i campioni messinesi che per affermarsi sono dovuti andare tutti via: Valerio Vermiglio, Silvia Bosurgi eccetera eccetera. Mentre la squadra di serei A di basket estirpata a Barcellona l’abbiamo fatta morire nel breve volgere di una stagione.
E gli uomini di spettacolo? Spiro Scimone, Franco Sframeni, Ninni Bruschetta, Massimo Piparo, Cristian Bisceglia, Walter Manfrè, Maurizio Marchetti, Claudio Catrogiovanni, Annibale Pavone, che grandi successi a Roma, a Milano, perfino in Francia, dopo avere dovuto sgomitare per avere un’ ora di Saletta Laudamo.
Certo che le parole di Antonello Caporale feriscono. La definizione “cloaca” è inopportuna comunque.
Ma proviamo a entrare nel merito della questiore. Perché se la questione è il termine “cloaca”, Caporale ha torto e noi ragione. Se la questione è cosa è oggi Messina allora via, non prendiamoci per il culo. Perché le parole di Caporale sono già vento. Fa molto più male che una classe politica non abbia sentito l’esigenza di reagire a Messina negli anni “verminaio” e “ultima nella classifica del Sole 24 ore”, agli espropri di cantieri e idee, alla fuga dei cervelli, alla fuga dei capitali da investire e degli spazi per i giovani da impiantare. Fa più male pensare che un giorno verranno a dirci che il professore Bottari si è suicidato e che il lento andare verso valle delle Case Gialle è un movimeto voluto perché quella gente avesse una giostra gratis.
Fanno più male i morti all’Annunziata per venti minuti di pioggia che abbiamo chiamato alluvione e fanno male gli occhi delle donne coi mariti a casa perché a 50 anni non è facile trovare un nuovo lavoro.
Fa male che Provincia, Comune, Confindustria, Sindacati, non abbiano trovato uno straccio di idea che riporti speranza.
Un giorno si risveglia l’arcivescovo e ci sentiamo tutti antimassoni.
E poi torniamo tutti in sonno.
Con chi fa affari che torna agli affari suoi, e i messinesi a parlare nei bar.
Oggi tutti offesi dal giornalista, che ha sbagliato i modi d’accordo.
Ma per dirla come Totò, siamo uomini o Caporale?
Se un sussulto c’è ancora la sveglia non suona mai troppo tardi.
Ma è tempo di ripensare Messina.
Con tutti quelli che sono disposti a mettersi in gioco, a incazzarsi per fare le cose e non per le frasi sbagliate dette.
E se fossi stato un giornalista, piuttosto che minacciarlo di denuncia o insulatarlo, avrei invitato Antonello Caporale a un dibattito. Perché la ragione ha bisogno di capire. Sempre. Ostinatamente.

4 commenti:

  1. Dannazione! Ti faccio io miei più sinceri complimenti, il tuo articolo mi è piaciuto molto, mi ha fatto riflettere e - dannazione! - mi ha fatto anche sorridere. "Parliamo di quando c’era l’Ospe, di quella volta che Quasimodo, di quando battevamo moneta, di quella volta che il terremoto ci ha fottuto". Grazie di averlo scritto. E' vero e fa male...damn!

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  2. Posso solo dirti che l'ho stampato e fatto leggere ai miei colleghi che mi chiedono: ma tu di dove sei??? grazie....

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  3. Brava Gabriella.. io aggiungo anche una cosa:
    seppure un'opinione non ci piace, per quanto possa essere sgradevole e contraria alla nostra.. dobbiamo DIFENDERE SEMPRE il diritto di chiunque ad esprimerla!!
    Questa caccia all'untore è molto inquietante.. Tutti pronti a denunciare, calpestare la sua libertà di espressione.. Siamo così abituati dai nostri politici che è NORMALE denunciare i giornalisti che ormai lo facciamo pure noi cittadini ad ogni piè sospinto..
    è una deriva culturale pericolosissima..

    mauro longo

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  4. grazie per i complimenti. so che qualche volta non ci troveremo d'accordo ma spero di fare insieme a voi un pezzo di strada verso il dialogo. sono convinto che rimane l'unica soluzione possibile.

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