L'immagine sbiadita di una città sbiadita dove, malgrado tutto, c'è ancora chi lotta per essere un'anima viva.

venerdì 16 ottobre 2009

Tragedia evitabile? Allora mai più. Però ci vuole una Messina nuova.

Credo di conoscere il mestiere dei giornali e so che Giampilieri e le questioni sollevate dalla tragedia spariranno dalle pagine prima che il dolore lasci spazio alla ricostruzione. 
So che non dipende dalla volontà o sensibilità dei direttori o dei cronisti: è la vita stessa che va avanti, che produce altri fatti, altre notizie, che solleva nuove questioni.
Sono certo che, come avvenuto per L’Aquila, non verrà meno l’impegno del presidente Berlusconi per la consegna di nuove case a chi le ha perdute a causa dell’alluvione. E sono convinto che il presidente Lombardo farà la sua parte. Temo però, come peraltro il capo della protezione civile Bertolaso, che l’agenda dei governi, nazionale, regionale e cittadino, di oggi e di domani, di destra o sinistra, allertata da 35 morti, dopo la soluzione dei gravi problemi per la popolazione direttamente colpita lo scorso due ottobre, vedrà le proprie priorità nuovamente modificate. 
Verranno risolte le emergenze relative gli sfollati, non la grande questione aperta drammaticamente dall’alluvione; cioè la nascita di una nuova cultura di tutela del territorio, di rispetto per l’ambiente, di piani regolatori sostenibili, di cura delle campagne, di sistemi di prevenzione, di realizzazione di piani di protezione civile che, come invocato dall’arcivescovo di Messina nel corso dell’omelia funebre per le vittime di Giampilieri e Scaletta, non siano di carta, ma opere concrete.
So bene che mettere riparo oggi ai dissesti causati da mezzo secolo di cattiva gestione è possibile farlo solo a un prezzo insostenibile per le attuali casse dello Stato. Ma da qualche parte bisognerà pur cominciare. 
Nel 2005, in vista del centenario del terremoto del 1908, ebbi modo di lanciare un’idea che diventò anche programma elettorale per una piccola associazione. Allora destò interesse ma, al termine della campagna di caccia al voto, come spesso accade per cose utili ma che costano tanta fatica, evaporò con la proclamazione del sindaco eletto. Desidero, se vorrete fornirmi questa opportunità, riproporla.
Credo che Messina, città del terremoto e oggi purtroppo anche città dell’alluvione, del disastro idrogeologico, possa aspirare, e in un certo senso abbia il dovere di diventare avamposto della ricerca scientifica in materie che riguardano lo studio dei fenomeni atmosferici, del terreno, del sottosuolo. 
Le premesse ci sono tutte: a Messina c’è un’università che potrebbe coinvolgere nell’iniziativa le sue eccellenze in materia trovando così una strada di rilancio; 
c’è la Fondazione Bonino Pulejo, che non ha mai fatto mancare, come nel caso del sostegno alle famiglie colpite dall’alluvione e di ogni meritevole iniziativa culturale, il proprio contributo; 
ci sono le location adatte: la facoltà di Ingegneria, i forti recuperati, ma anche le costruzioni abbandonate sui Colli, l’ex Hotel Riviera, l’ex Ospedale Margherita, il mai inaugurato Palazzo della Cultura. Basta scegliere bene. 
C’è in gioco la realizzazione del Ponte sullo Stretto, che anche per questa iniziativa potrebbe rappresentate un’opportunità.
I presupposti insomma ci sono; quello che manca potrebbe essere reperito con la richiesta di finanziamenti, e in materia tutti i governi verrebbero messi alla prova. 
La forma giuridica, associazione, fondazione, dipartimento universitario, provinciale o comunale, la lascio ai tecnici del settore. 
Penso a una struttura, un vero e proprio “polo” della ricerca e della tecnologia, per lo studio di piani di prevenzione e costruzione nelle aree ad altissimo rischio, che sappia coniugare il rigore della scienza a una grande opportunità di crescita generale per la città. Un centro di eccellenza dove studiare e elaborare piani buoni per ogni parte zona del nostro Pianeta, sempre più indecifrabile nelle sue evoluzioni climatiche e nella consistenza del suo terreno. La realizzazione di un luogo dove Messina possa produrre ricerche, sviluppare idee, darsi un senso e un prestigio perduto e coltivare l’ambizione di un domani diverso dalle attuali catalogazioni che la vedono periferica e ultima, senza più niente da dare e da dire. 
So che la strada è in salita. Ma a rinunciare ci hanno già pensato quelli prima di noi. Con i devastanti risultati che oggi abbiamo sotto gli occhi. 
Cordiali saluti
Fabio Mazzeo

1 commento:

  1. Diciamo allora che la questione è culturale.Una cosetta da nulla che non credo si risolverà durante questa mia,e forse nostra,esistenza su questo pianeta.Non mi immergo nel pessimismo però.In salita,certo.Ma bisogna tentare sempre.Oggi la questione più importante mi sembra quella che dovrebbe dirimere la divaricazione tra: ricostruzione in loco e poi magari anche alla meno peggio; oppure una esemplare innovazione metodologica di ricostruzione solo dov'è possibile.Chi dovrebbe avviare questa seconda strada? Non certo gli amministratori lasciati liberi di...Dovrebbe esserci un ceto sociale disinteressato e ostinato che indichi,controlli,solleciti.Ci vorrebbe una informazione ( senza aggettivi) che non faccia una cantilena delle cazzate che ascolta ma rifletta,propnga,stimoli, etc. Oggi leggiamo e ascoltiamo in un unico minestrone indistinto tutto e il contrario di tutto. Diventa impossibile costruire una pubblica opinione e,quindi,una strategia.
    Qualche ricordo.Appena 10 anni fa - 25 aprile 2000 - un gruppo di scemi e una piccola TV portarono 7000 ( settemila ) persone a firmare una petizione chiara e semplice: No alla Rada S.Francesco. Alcune di quelle persone,circa il 50%, scese in strada a marciare etc. Si arrivò a un risultato etc. Poi tutto scemò x vari motivi ma quella era ed è la strada. Idee chiare,obiettivi e tanta volontà.Dopo 10 anni però la situazione presenta altri ostacoli. Chissà se si potranno superare.chissà.

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